Alice nel paese dei Call Center: trama
Alice ha una laurea, un armadio pieno di speranze un po’ sbiadite e nel cassetto sogni e calzini spaiati.
Dettaglio non trascurabile, è una cittadina italiana, di quell’Italia da cui i suoi coetanei fuggono a gambe levate alla ricerca di un futuro migliore.
Intrappolata nella postazione del call center in cui lavora, Alice cerca di non arrendersi, a suon di ironia e caffè macchiato.
Nonostante gli inconcludenti colloqui di lavoro e la sua condizione di precaria dalla testa ai piedi (cuore compreso).
Ritratto contemporaneo di un laureato italiano medio, senza pillole indorate, e con un finale che potrebbe avere qualcosa di lieto… ma non necessariamente!
Alice nel Paese dei Call Center: recensione
Alice nel Paese dei Call Center è un libro autobiografico, scritto da Dalila Coviello.
Racconta la vita di una giovane laureata assunta precariamente come telefonista di un call center.
Il suo compito è quello di vendere depuratori d’aria ed Alice ci porta con lei in questo mondo fatto di mobbing nei confronti dei dipendenti e reazioni di probabili clienti, stanchi di ricevere ogni giorno telefonate pubblicitarie.
E poi colloqui di lavoro al limite del surreale per cercare qualcosa di più stabile e duraturo.
Il tutto è scritto con un linguaggio ironico e colloquiale, che riesce a coinvolgerti e tenerti incollato, pagina dopo pagina, chiedendoti:
“Cosa accadrà oggi ad Alice?”
La lettura scorre via veloce e tra le righe, nell’ironia, si legge, anche e soprattutto, la voglia di non arrendersi ad una situazione lavorativa precaria, che ormai sembra intrappolare tutti i giovani di oggi.
Ci si sente spronati a non smettere mai di sognare ciò che si desidera davvero ed a lottare per conquistarlo.
Perché se è vero, che non è facile e altrettanto vero, come scrive Dalila, che provare ad inseguire i propri sogni.
“è un’emozione per cui vale sempre la pena!”
CONSIGLIATO A: un po’ a tutti. Un libro dal target molto ampio, coinvolgente da leggere e capace di far riflettere ed emozionare. Siamo tutti un po’ Alice, in fondo!
Intervista a Dalila Coviello
Ciao Dalila, benvenuta! Com’è nata l’idea di scrivere di Alice nel paese dei Call Center?
Ciao, grazie. Diciamo pure che non è nata! Non pensavo affatto di scrivere un libro, riuscivo solo a sognarlo. Devo tutto al mio editore, Maria Littorio, che mi ha scovata e motivata a scrivere e poi ha deciso di rischiare con me.
Come definiresti il tuo rapporto con la scrittura?
Lo definirei simbiotico, ma forse sarebbe meglio dire ‘naturale’. Scrivo da sempre, anche senza che nessuno legga, e non posso farne a meno. Come tutte le cose innate, a volte me ne allontano, ma mai per troppo tempo!
Come mai hai deciso proprio la tematica del lavoro come primo libro?
Anche qui: non ho deciso. C’è una citazione, credo sia di Salinger, che dice ‘sono solo uno scrittore che scrive di quello che sa’. Ecco, ho fatto esattamente questo: ho scritto di una situazione che conoscevo e avevo sperimentato in prima persona.
C’è stato un momento in cui hai pensato di non farcela a finire il libro?
Praticamente sempre! Ad ogni pagina finita, pensavo: e adesso?! Ci ho impiegato molti mesi, procedendo un po’ alla volta.
Leggendolo, ho pensato che il libro possa essere adatto a tutti, anche ai meno giovani, per comprendere la realtà delle condizioni lavorative in cui versa l’Italia di oggi. Avevi pensato ad un target specifico o la mia impressione è giusta?
Impressione giustissima. Ho scritto senza target, anzi, ti dirò: speravo di empatizzare con chi sa di cosa parlo, ma soprattutto di far capire quello che viviamo a chi non ci è mai passato e lo trova strano, assurdo o addirittura impossibile.
Questo è il tuo primo libro, ma tu avevi già affrontato questa tematica scrivendo una lettera a chi definiva i giovani “choosy”. Ti va di raccontarci come andò?
Era scoppiata la polemica a causa del ‘choosy’ con cui il Ministro Fornero aveva definito i giovani italiani che cercano lavoro. Ero a casa, dopo un turno al call center, e pensai: adesso glielo metto per iscritto, quanto siamo ‘choosy’.
Ho inviato la mail a tutti gli indirizzi istituzionali del Ministro, con in copia alcuni magazine on line.
Dodici ore dopo, una mail della giornalista Anna Di Russo: ‘sei stata pubblicata sul Corriere dell’Università, la tua lettera ci ha colpito molto’.
Da lì decine e decine di messaggi di comprensione e solidarietà da ragazzi di tutta Italia, che mi hanno davvero emozionata. La lettera è stata oggetto di due articoli, uno su Africanews e un altro sulla Gazzetta del Mezzogiorno, e qualche mese dopo ho contribuito ad un articolo sullo stesso tema pubblicato sulla rivista Cosmopolitan.
Pensi che il mondo del lavoro possa avere una svolta o credi che siamo impantanati in questa situazione? Come potrebbero migliorare le cose?
Realisticamente, continuo a non vedere svolte. Si parla solo di riforme poco chiare, e non della necessità di creare nuovi posti di lavoro, di dare una possibilità a tutti e di rendere più consapevoli i ragazzi a scuola su quello che attualmente possono aspettarsi dal mondo del lavoro italiano.
Il libro è autobiografico. Cosa sogna Alice ora?
Alice di sogni ne ha sempre ‘tanti + 1’. Di base, però, quello costante è di non perdere la voglia di provare ancora e ancora, anche partendo da zero, come in questo caso. Spero di non fermarmi, e di non volerlo mai fare.
Cosa ti aspetti da Alice nel Paese dei Call Center?
Spero davvero che Alice riesca a recapitare il suo messaggio. Può far sorridere o magari far riflettere, ma vorrei anche che lasciasse qualcosa in chi la legge: una prospettiva nuova, o una speranza in più.
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